Società
06/03/2015
Romagna mia…
Ebbene si, lo confesso! Adoro il “liscio” e il ricordo di balere e discoteche romagnole mi fa tornare giovane, quando andavo sulla costa adriatica per mobili. I primi “low cost” della storia italiana dell’arredo e del dopo boom, che su quelle sponde e, scendendo fino alle Marche, venivano costruiti. E quando superavo il mitico casello di Bologna Borgo Panigale mi sembrava di entrare in un altro mondo. Regione a se stante, particolare e simbolica, l’Emilia – Romagna, sanguigna e dove gli emiliani sono tali e i romagnoli altra gente, rappresenta un po’ gli umori ed i pensieri italiani e degli italiani tutti. E’ patria del parmigiano, simbolo del gusto nostrano nel mondo; terra della “modenese” favolosa Maserati; della Ferrari, rossa ed unica; regione dove sta Brescello di Peppone e Don Camillo, forse l’apice del film italiano che ci racconta la nostra storia recente attraverso un dualismo preti- comunisti sul quale abbiamo trascorso… i migliori anni della nostra vita. Genio Guareschi! E da quelle parti, a Predappio di Forlì, nacque tal Benito Mussolini. Ecco, in quella terra ci passa buona parte d’Italia e relativa storia.
Premessa lunga venti righe non per promuovere o parlare di una regione che divide geograficamente in due l’Italia, ma per introdurre la tesi che le elezioni regionali di domenica scorsa in località di cotanta caratterizzazione, non sono state né cose da poco, né, tanto meno di scarso significato. Anzi, riflettono appunto umori e pensiero simbolo di quello italiano. Ex regione “rossa” (ora in politica bandiera rossa è roba da Peppone e Don Camillo), offre lo spunto per riflettere sui risultati, a partire dalla scarsissima affluenza, segnale che gli italiani sono svuotati da ogni volontà. Pessimo difetto del quale possono in qualche modo accusare la mala politica ma devono soprattutto, anzi dobbiamo, prendercela con noi stessi. Con la rassegnazione siamo arrivati a questo punto. Deleghiamo in bianco e da creduloni qualcuno che agisca per noi: tecnici, professori, politici. Fanno pasticci e noi accettiamo tutto. Opinione pubblica che si adegua a leggi malfatte con qualche sussulto di protesta finché però non sia l’ora della pappa, della vacanza, della partita di pallone. Ergo, la protesta o il senso di delusione che deriva da un voto con percentuale americana (un terzo), mostra il volto di un popolo che alza bandiera bianca, incapace di reagire ed onorare il suo compito di “popolo sovrano”. Un popolo che delega, purché sia lasciato in pace. Ha delegato persino un dittatore come appunto il romagnolo detto prima, ha delegato la Dc, il Pci, Craxi, Berlusconi, ora Renzi, affidandogli le chiavi da casa salvo poi dirsi delusi dell’operato. Ma quando governava questo o quello, dov’eravamo, noi cittadini che non si ribellano a nulla, neppure alla leggi sceme, inutili, oppressive che vengono scritte ogni giorno? Antica rassegnazione e sudditanza italiana rispetto al potere in attesa che qualcuno agisca per noi. Concetto che scrissi tempo fa, citando il Manzoni quando parla agli italiani nel primo coro dell’Adelchi a proposito del guerrieri Franchi:
“Tornate alle vostre superbe ruine,
all’opere imbelli dell’arse officine,
ai solchi bagnati di servo sudor.
Il forte si mesce col vinto nemico,
col novo signore rimane l’antico;
l’un popolo e l’altro sul collo vi sta.
Dividono i servi, dividon gli armenti;
si posano insieme sui campi cruenti
d’un volgo disperso che nome non ha”.
Non è atteggiamento giusto non andare a votare per rassegnazione o rabbia; occorre far sentire la propria opinione quando ci vengono imposte le leggi di cui sopra.
Circa invece l’esito del voto, anche qui devo fare un…ritorno al passato. Cose che ho già detto non molto tempo fa: Renzi vince e stravince perché prende voti al centro e persino negli spazi lasciati da un centro destra in agonia e mantiene lo zoccolo duro che vota, a prescindere, a sinistra pur non trovando Matteo uomo di sinistra (del resto non è facile vederlo come tale); la destra è frantumata, disarmonica e, sconfitto Berlusconi, non trova un personaggio adeguato a farla vincere. La Lega parla il linguaggio dell’uomo della strada, dicendo quindi cose che riflettono in molti casi la realtà e quindi ottiene consensi. Grillo è ancora troppo protesta e poca proposta sui temi qualificanti e caldi di lavoro ed occupazione sui quali, salvo una rivoluzione culturale, non si farà nulla che rilanci il Paese.
Uno scenario che l’Emilia Romagna ha esemplarmente rappresentato e che non è certo quello che potrà risolvere la crisi.
dicembre 2024
EDITORIALE
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