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TESTO DI Carla Chiappini |
Mio figlio che si affaccia alla finestra e, nelle migliori tradizioni dei cortili italiani, mi comunica che la Corte di Strasburgo ha sanzionato le carceri italiane per aver violato i diritti dei detenuti costringendoli in uno spazio inferiore ai tre metri quadrati per persona. Una sentenza che suona come un atto di giustizia. Busto Arsizio e Piacenza i due istituti colpiti dal provvedimento. Al momento della denuncia nella nostra Casa Circondariale erano stipate più di quattrocento persone. E noi lo sapevamo. Lo scrivevamo anche. Inutilmente, purtroppo. Vorrei sentirmi più contenta per questa notizia ma penso già ai commenti stupidi di chi ancora oggi pensa che in carcere la sofferenza sia sempre troppo poca. E non riesce nemmeno a immaginare quale possa essere il confine tra la pena e la tortura. E mi dispiace tanto perché mi sento inadeguata. Sono dieci anni che, insieme a un gruppo di giovani detenuti, cerco di raccontare l’assurdo del carcere, la noia, la costrizione, il tempo vuoto. A volte mi sembra di voler affrontare un’onda gigantesca con una piccola barca. Azzurra, forse.
Le persone chiuse in carcere sono in gran parte colpevoli; anche se ancora troppe in attesa di sentenza definitiva e, quindi, tecnicamente innocenti. Tante hanno storie terribili, alcune hanno fatto cose terribili. La gran maggioranza ha causato danni alla società e alle proprie famiglie. Ma il punto è un altro. La domanda è: giustizia o vendetta? La nostra splendida Costituzione parla di rieducazione del condannato ma come si può rieducare un essere umano tenendolo in gabbia per circa venti ore al giorno? Soffocato in una gabbia così stretta insieme ad altri esseri umani altrettanto sofferenti e insofferenti? Forse è ora di pensare ad altre strade più intelligenti e coraggiose. Forse.