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TESTO E FOTO DI
Carlo Maria Milazzo
Il taxi, un Toyota pick up grigio, mi scarica davanti a rocce arzigogolate. Una fettuccia di sabbia separa l'asfalto dalle montagnette. Rimango dubbioso, zaino in spalla, contornato da un cielo bluette.
Decido di seguire a sinistra una famiglia che suppongo così composta: marito/padre in caffetano crema, moglie di mezza età, moglie giovane, un figlio grassottello della prima moglie, quattro figlioletti della seconda moglie, di cui due femmine e due maschi gemelli. Mi trovo nel regno Hashemita del Giordano, meglio conosciuto come Giordania, ad Al Bayda, dieci chilometri a sud di Petra.
Dopo 600 metri si apre una vallata sulla destra, punteggiata da capre marroni che danno la caccia ai pochi e polverosi fili d'erba. Passo in mezzo ad abitazioni rotonde, di sassi sovrapposti, seminterrate: fanno parte di un insediamento del Neolitico, 6800 a.C..
Mentre osservo una mola preistorica per pestare il grano, mi si avvicina un ragazzetto beduino dai capelli neri, con una leggera sfumatura viola. Ha gli occhi più furbi di quelli di una volpe napoletana. Tiene in braccio un agnellino belante.
-What's your name?- mi chiede.
Glielo dico.
-Nice to meet tou. My name is Mohamed- dialoga il fanciullo e insiste:
-Where are you from-
-Italy-
-Ah, Italia. Allora ti parlo in italiano- promette Mohamed che appoggia in terra l'agnello e gli dà un calcetto per mandarlo a cercare la madre.
-Dove stai andando?- mi interroga Mohamed.
-Vorrei raggiungere Petra a piedi-
-Rischi di perderti, come è già accaduto a tanti turisti- mi prospetta Mohamed.
In effetti noto diversi sentieri scalfire le montagne.intorno.
-Posso accompagnarti- si offre Mohamed.
-Va bene-
Il ragazzo veste una maglietta blu e un paio di pantaloni verde militare, lunghi fino a sandali molto vissuti. Facciamo pochi passi e ci fermiamo ad una grande tenda rettangolare, aperta su uno dei lati lunghi. La tenda, a strisce orizzontali bianche e marroni, è intessuta con lana caprina.
-Devo chiedere il permesso a mamma. Entriamo- dice Mohamed.
Dentro ci sono due donne sedute su un tappeto a fiori gialli, imballate in vestitoni e fazzolettoni neri. Il viso della madre è solcato da rughe precoci ma gli occhi sprizzano curiosità giovanile. La sorella di Mohamed sorride sbarazzina e mostra l'apparecchio metallico che lega i denti. Calza un paio di babbucce argentate.
Il ragazzo mi fa cenno di sedere su una cassapanca coperta da un altro tappeto, turchese e zafferano. La sorella mi porta un bicchiere di thé profumato alla salvia, con pezzetti di foglie che nuotano nell'arancio scuro. Mohamed rivolge alla madre una frase che è un tamponamento di consonanti. Le pupille della mamma si piantano nelle mie.
La mia piccola guida ed io battiamo un sentiero ocra che punta ad una montagna rossa.
-Come mai parli italiano?-
-Mio papà accompagna nel deserto, con la jeep, i turisti che vengono dall'Italia. Tutte le sere io e lui studiamo insieme libri italiani e facciamo conversazione nella tua lingua. Mio papà dice che è molto importante parlare altre lingue- mi informa Mohamed.
Fisso il percorso che mi aspetta: una salita a zig zag che va a nascondersi tra rupi aguzze. Opto per risparmiare il fiato.
Il terreno si fa prima color salmone, quindi arancio chiaro. Ci intrufoliamo tra grossi massi che hanno dei riflessi rubino, neanche ci avessero intrappolato dei diavoli. Il sole mi pialla come farebbe un falegname sovrappeso.
Col mio amico valico il crinale. Il sudore mi scorre sulle guance in ruscelletti che confluiscono sul mento. Il nuovo versante è biondo, meno scosceso. Lontano si vede un pullulare di macchiette.
Il sentiero in discesa è dolce e largo. Mohamed mi si affianca e mi chiede:
-Vuoi che ti dica una favola delle nostre parti?-
-Sì-
-E' una favola che mio papà mi ha raccontato una sera, prima di addormentarmi-
-Ti ascolto-
Mohamed si schiarisce la voce. Comincia:
-C'era un principe di nome Ganem che era sempre triste, ma non proprio triste triste-
-Malinconico- provo a definire.
-Avrebbe sempre voluto dormire- precisa Mohamed.
-Allora era depresso- diagnostico.
-Un pomeriggio che era disteso in giardino gli volò sul naso un omino celeste, con le ali d'oro. Era un piccolo genio che domandò a Ganem se avrebbe voluto essere felice-
-Ganem avrà risposto di sì- suppongo.
-Il genietto consegnò un sacchetto contenente una polvere magica. Se Ganem avesse voluto la felicità, avrebbe dovuto metterne un pizzico sulla lingua e pronunciare la parola Mutabòr. Il desiderio si sarebbe avverato- narra Mohamed azzeccando incredibilmente tutte le forme verbali.
-Questo Ganem era ricco, in salute, di sicuro bello e aveva il coraggio di essere triste- commento acido.
-Il principe sperimentò subito il dono ricevuto. Vide passare un grande uccello bianco ad ali spiegate e volle volare. Mise la polvere sulla lingua, disse Mutabòr e immediatamente ricevette una spinta alle spalle trovandosi in un attimo in cielo, a librarsi nell'aria fresca- racconta Mohamed.
-Volare rende felici?- domando scettico.
-Sì, salire fino alle stelle e buttarsi in picchiata fino agli zampilli delle fontane era esaltante. Dopo parecchie evoluzioni Ganem si posò sulla vetta di una montagna solitaria. Mentre sospirava contento fu raggiunto alle spalle da una figura maestosa di uomo, dalla barba folta, avvolto in un mantello nero e con un turbante giallo. Costui si presentò come Reza, il re dei geni- novella Mohamed.
-Che voleva questo Reza?-
-Lui dubitò della felicità di Ganem che in fondo non aveva fatto niente di personale per far sgorgare in sé un senso di benessere- spiega Mohamed.
-Ragazzo, sei bravo anche in psicologia- mi complimento.
-Nel giorno seguente il cielo azzurrissimo si coprì di nembi. Lampi serpeggiarono e un vento forte strappò le foglie agli alberi facendole turbinare sulle case e sulle moschee. Ad un tratto un fulmine abbagliante scaturì dalle nubi e con uno schianto colpì un grande cedro, che bruciò subito in una fiamma a forma di cuore- narra Mohamed.
-Non dirmi che Ganem volle diventare un fulmine- faccio l'indovino.
-Esattamente. Polvere sulla lingua, Mutabòr e una luce accecante avvolse il nostro principe che fu lanciato a schiantarsi contro la montagna del giorno prima. La cima si squarciò e tutti gli arbusti vennero inceneriti- illustra Mohamed.
-E qui di certo ricomparve Reza- pronostico.
-Il re dei geni fu di nuovo accanto a Ganem e lo sgridò per aver cercato la felicità nella forza soprannaturale e per essere così diventato un distruttore. Ganem chiese di essere riportato a casa e Reza, tenendolo in braccio e volando, lo depose nel suo letto-
Incontriamo una coda di turisti che sale il sentiero in senso inverso. Mohamed si mette davanti e io dietro. Intanto le macchiette in fondo alla valle si sono dilatate in sagome di uomini e donne. C'è un brulichio colorato su uno uadi, il greto secco di un torrente.
Quasi alla fine della discesa una ragazza, sigillata in un tunicone violetto, impasta acqua e farina. Poi stende la pasta sulla parte esterna e convessa di una padella, che copre un fuoco. Le compro due piadine elastiche, simili alle piadine anche nel sapore.
Con Mohamed camminiamo nello uadi. Ci sorpassano a sinistra dei cavalli montati da beduini dai capelli sussultanti. Presto incontriamo tre monoliti squadrati. Ricordo di aver letto in una guida che sono i blocchi di Jinn, parola che in arabo significa “spirito”. Gli spiriti abiterebbero ancora questi grandi sassi.
Sul lato opposto appare quindi la Tomba degli Obelischi, del 60 d.C., interamente scolpita nella pietra e con quattro piramidi egizie a svettare sulla parte alta della facciata.
Continuando per lo lo uadi raggiungiamo la porta del Siq, una spaccatura verticale tra le rocce che immette in una stretta gola. Poco prima della porta una diga moderna sostituisce quella antica dei Nabatei, che deviava l'acqua in un canale e successivamente in un tunnel. Il letto del fiume prosciugato fu trasformato nella strada lastricata che tuttora si insinua nella gola.
Il canyon del Siq in certi punti non supera i 2 metri di larghezza. E' delimitato da pareti alte 80/100 metri, di arenaria rossa con sottili strie nere. Lungo entrambe le pareti, ad un'altezza di un metro, scorrono scanalature che convogliavano l'acqua come acquedotti in miniatura.
Il percorso è tutto all'ombra, conquistato dal silenzio che di rado si interrompe per lo scalpiccio di asinelli montati da piccoli alfieri simili a Mohamed. Dopo mezz'ora di cammino, all'improvviso, la gola si apre su uno spiazzo fulvo. Di fronte appare prepotente e divino Al-Khaznah, il tesoro di Petra. Il sole spennella la facciata e costringe l'arenaria al rosa. Sorrido involontariamente, come se avessi assunto la polvere di Ganem.
La costruzione del monumento risale al periodo di Adriano, 120 d.C., poco prima che Petra fosse annessa all'Impero romano. Al-Khaznah colpisce non solo per l'imponenza delle dimensioni (28 metri di larghezza per 40 di altezza), ma anche per l'armonia degli elementi in stile greco. Il piano inferiore è contraddistinto da sei colonne, quattro delle quali sovrastate da un frontone triangolare decorato. Il piano superiore presenta un tholos, una struttura cilindrica con colonnine laterali che incorniciano un bassorilievo della dea Iside. La copertura del tholos regge un'urna che avrebbe dovuto contenere il leggendario tesoro di un faraone. Ai lati del tholos due quinte colonnate hanno per coperchio dei semifrontoni.
Mohamed ed io ci sediamo su una panchina attorniata dalla danza di giapponesi in fase fotografica. Davanti abbiamo un plotone di 12 cammelli accucciati, con baldacchini portaturisti incuneati tra le gobbe. Gli animali muovono le mandibole superiori come se slittassero sulle inferiori.
-Devo finire la favola- ricorda Mohamed.
-E' vero-
-Mentre dormiva Ganem sognò il deserto, una distesa infinita di sabbia. Un vecchio cammelliere lo solcava seguito da un dromedario. Entrambi sembravano sfiniti dal caldo e dalla sete. Ganem era in piedi su una duna, a braccia incrociate, e osservava avanzare le figure oscillanti-
-Mi sembra di sentire il calore del deserto- partecipo vivamente.
-Quando il vecchio fu all'altezza di Ganem, il principe gli domandò se lui conoscesse il modo per essere felici. Il vecchio gli rispose che la felicità è diversa per ognuno. Per lui in quel momento sarebbe consistita in un pozzo d'acqua fresca e in un ciuffo di palme che dessero ombra-
-La felicità è un fatto personale. Non si può essere felici come ti dicono gli altri- pontifico.
-Ganem si svegliò e meditò che il vecchio cammelliere aveva molto più bisogno di lui di una felicità immediata. Decise che avrebbe voluto trovare il vecchio e perciò utilizzò polvere magica e Mutabòr-
-Come fu il deserto?- anticipo i tempi.
-Mare giallo sotto luce incandescente. Ma nella distesa sconfinata Ganem incontrò il vecchio che stringeva il guinzaglio del suo dromedario-
-Il famoso ago nel pagliaio- postillo.
-”Tu cerchi un'oasi” disse Ganem al vecchio che gli rispose “E' ciò a cui anelo di più”-
-L'etimologia di oasi è “luogo abitato”- faccio il gradasso.
-Il sacchetto era quasi vuoto ma Ganem non ci pensò due volte. Disse al vecchio: “Mettiamo la poca polvere sulla lingua e pronunciamo Mutabòr. L'oasi apparirà”-
-Doppio Mutabòr simultaneo- rilevo.
-L'oasi apparve. Gigantesche palme frusciavano sotto una brezza fresca. C'era una casa bianca con l'uscio spalancato e un laghetto trasparente. Il vecchio s'inginocchiò per ringraziare Allah e poi bevve con avidità-
-E Ganem?- chiedo.
-Ganem era contento che il vecchio fosse contento. Ganem era pieno di gioia, meravigliato che soccorrere un'altra persona gli avesse procurato un tale piacere-
-Di sicuro fu felice anche il dromedario- non trascuro il particolare.
-Nella casa- continua Mohamed -c'era una tavola apparecchiata con pani d'orzo, datteri e una brocca d'acqua. Il vecchio e Ganem mangiarono in silenzio e poi il vecchio disse: “Ti posso dare il dromedario perché tu possa tornare a casa”-
-Ma come poteva orientarsi Ganem per ritrovare casa? In mezzo al deserto uniforme- valuto.
-Infatti il vecchio si trasformò nell'uomo dalla barba, dal mantello e dal turbante giallo-
-Reza!- riconosco.
-E Reza prese un'altra volta in braccio Ganem e lo riportò a casa-
-Del resto Ganem aveva scoperto il segreto per ottenere la felicità- concludo.
Guardo ancora ipnotizzato il tesoro di Petra. Poi guardo Mohamed. Cavo dalla tasca 20 dinari e glieli allungo.
-Non voglio soldi. Mi sono divertito ad accompagnarti- afferma Mohamed.
Provo lo stesso a mettergli in mano la banconota. Ma Mohamed si alza di scatto e si allontana di qualche passo.
-Spero che avrai un buon ricordo di Petra- mi dice aprendo un sorriso larghissimo.
Poi Mohamed agita la mano velocemente, in segno di saluto. E si mette a correre verso il Siq da cui siamo venuti.
Io rimango con i miei 20 dinari tra le dita: sono sempre in ritardo per distribuire anche un minimo di felicità.