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TESTO E FOTO DI
Francesca Domenichini
Nel solco delle attività agricole che risalgono agli inizi del Novecento, la famiglia Zuffa ha “riscritto” completamente il proprio modo di intendere il vino. Con una cura scrupolosa della tipicità collinare e della produzione di nicchia. A Fontanelice (Bo) un’altra testimonianza di piccole grandi eccellenze del territorio emiliano-romagnolo.
Siamo in un ideale crocevia tra la Romagna e l’Emilia, per la precisione tra le Province di Ravenna, Bologna e Firenze. In un contesto paesaggistico molto particolare: in prossimità del Parco Regionale della Vena del Gesso Romagnola. Dove, al di là delle bellezze naturali, si “rincorrono” ben quattro vallate attraversate dagli omonimi fiumi: Lamone, Senio, Santerno e Sillaro. Ed è proprio nella Valle del Santerno, a Fontanelice, che si trova l’Azienda Agricola Le Siepi di San Giovanni. Da sempre, sin dagli inizi del secolo scorso, di proprietà della famiglia Zuffa che nel corso del tempo le ha dato un nuovo assetto, pur nel pieno rispetto di “ciò che era”. A partire dalla storica cantina deputata dal capostipite, Pietro, alla vinificazione, che conserva tuttora il profumo del mosto, trasformata da qualche anno in un’accogliente trattoria, La Cantinetta, con a fianco l’angolo enoteca ricavato da un vecchio ricovero per trattori. A completare il quadro di questa bella realtà del territorio un edificio del tardo medioevo, forse un convento, che dopo un sapiente restauro si appresta a rivivere sotto forma di agriturismo, con una proposta di servizi aggiuntivi molto articolata, a partire da un teatro esterno che potrà ospitare circa 500 persone. E attorno 40 ettari disseminati di vigneti, alberi da frutto e bosco. Luogo ideale per la realizzazione di un futuro Parco avventura per i più piccoli. Tradizione e innovazione quindi, ma su tutto l’amore per la terra, la loro terra. A parlarcene è Gian Gaspare Zuffa, professore di Geologia all’Università di Bologna che, una volta in pensione, ha deciso di affiancare i fratelli - uno costruttore, che ha curato e sostenuto il recupero dell’intero complesso, e l’altro il vero “uomo del campo” - nella gestione dell’azienda, iscrivendosi a un corso di enologia e viticoltura. E con il supporto del figlio ha cominciato solo nel 2012 a produrre ex novo i vini della tenuta. “Con mio fratello - ci dice Zuffa, che abbiamo conosciuto a Bologna in occasione di Cibò. So Good!, il Festival dei Sapori dell’Emilia-Romagna - ci siamo coordinati molto bene nella cantina nuova, per scelta infatti non facciamo produzioni elevate, nonostante 12 ettari sono pur sempre 12 ettari! Arriviamo al massimo a un migliaio di quintali d’uva. Ho accennato alla produzione: in collina possiamo arrivare a circa 100 quintali di uva per ettaro, mentre in pianura se ne fanno anche 500. In sostanza, dedichiamo una maggior cura al singolo grappolo, a partire già dal fatto che il viaggio dal terreno alla cantina è brevissimo, dura solo alcuni minuti. Abbiamo puntato così su un prodotto caratterizzato da un’alta qualità ad un prezzo medio. Grazie anche alla tipologia delle nostre colline: i singoli tipi di roccia che qui si trovano danno origine a un suolo del tutto particolare che, paradossalmente, può presentare difetti molto più grandi di quello della pianura”. Ed è a questo punto che entra in gioco lo Zuffa geologo, spiegandoci con una rara capacità di sintesi espositiva, come le marne e le arenarie su cui crescono e si sviluppano i vitigni de Le Siepi di San Giovanni siano localizzate sotto ai gessi, per cui hanno all’incirca 7/8 milioni di anni e proprio da qui deriva un meraviglioso Pignoletto. “Quando in collina - continua il nostro interlocutore - finisce un’arenaria e comincia l’argilla, pur avendo come già accennato qualche difetto in più rispetto ai terreni di pianura, alla fine se il vitigno cresce bene sul suolo derivato da un certo tipo di roccia si contraddistingue per la sua unicità e quindi, come dicono i francesi, rappresenta un terroir. Mentre i terreni alluvionali della pianura, composti da una quantità notevole di diversi tipi di rocce, danno origine a vini più standardizzati, dovuti anche a una produzione di gran lunga superiore a quella collinare. Il nostro lavoro è, al pari di tanti altri, una successione perfettamente concatenata di anelli: roccia, terreno, vite, uva, procedure per la vinificazione, vino. Non esiste un anello decisivo, pertanto se uno non funziona bene la catena si spezza”. Tornando alla produzione di nicchia tipica dell’azienda dei fratelli Zuffa, connotata da una propria unicità, personalità, i vitigni sono fondamentalmente per i rossi il Sangiovese e il Cabernet Sauvignon. Entrambi nel 2016 hanno vinto la prestigiosa Targa del Tribunato, selezionati tra ben 80 cantine partecipanti al concorso “Vino del Tribuno”. Ad aggiudicarsi questo riconoscimento del Consorzio Vini di Romagna sono stati appunto il Sangiovese Superiore Riserva 2012, che ha ottenuto il massimo del punteggio, e il Cabernet Sauvignon 2012 come miglior Riserva. Il massimo punteggio consiste nella valutazione organolettica di due commissioni indipendenti, formate da enologi, giornalisti, membri del Consorzio, che effettuano il cosiddetto blind test, sulla base del quale “si pronunciano” attribuendo un numero a ciascun vino.
“Questo premio ci ha resi particolarmente orgogliosi - prosegue Zuffa - considerando che è solo dal 2012 che abbiamo cominciato a produrre vino con le nuove tecniche. Fino agli anni 2000 infatti eravamo una cantina tradizionale. Si trasformava in vino perché in parte serviva alla famiglia, in parte si commercializzava. Con i progressi attuali, soprattutto della scuola francese di Bordeaux e di quella italiana, si sono affermate le metodologie guida della ‘macchina della vinificazione’. Il che non significa produrre artificialmente, ma che abbiamo un maggiore bagaglio di conoscenze su come avviene la trasformazione delle uve in vino. Su come, schiacciando con le vecchie presse le bucce, si ottenevano tannini astringenti. Mentre ora possiamo utilizzare presse a membrana soffice che consentono di estrarre tannini più morbidi, migliori quindi. Una grande rivoluzione nel nostro comparto è stata sicuramente la vinificazione a freddo: quando si vinifica senza controllo della temperatura l’uva vendemmiata in settembre è già a 25/30 gradi. La reazione di vinificazione, di trasformazione dello zucchero in alcol è esotermica, produce cioè calore, perciò si arrivano a toccare anche i 40 gradi del vino, che in fase di ‘bollitura’ perde sostanze volatili che se ne vanno sotto forma di gas. Mentre vinificando a 14-16 gradi, il tempo impiegato è maggiore ma le sostanze, i profumi del vino in forma gassosa, restano intrappolati nel liquido perché non è troppo caldo. Un fattore importantissimo, questo, soprattutto per la qualità finale dei vini bianchi”. E a proposito di etichette che escono dalla cantina de Le Siepi di San Giovanni? “Dal Sangiovese Superiore Riserva, come si è detto, al Cabernet Sauvignon che dà il vino chiamato Colli di Imola Cabernet Sauvignon. A riguardo abbiamo tentato un esperimento nuovo: il cosiddetto uvaggio, che si differenzia dal taglio dei vini per il fatto che si mescolano le uve maturate nello stesso momento. Quindi si vendemmiano due, tre tipi di uve diverse e si pigiano insieme. Dopodiché la fermentazione agisce su una mescolanza, il mosto, che è di tre tipi, e ne scaturiscono sapori nuovi. Il nostro Il Carieti (nome derivato da un fondo dell’azienda) è un uvaggio tra Cabernet Franc, Malbo Gentile e Merlot. Per i bianchi invece abbiamo un Pignoletto sia frizzante, che spumante e fermo. Il nostro è proprio il terreno del Pignoletto, facciamo un frizzante un po’ meno frizzante della zona del bolognese; ciò consente di apprezzare meglio i numerosi sapori interni di questo vino. Poi abbiamo un Trebbiano che è un vino molto comune da noi, come il Sangiovese, che non viene considerato granché perché è il vino che uno trova dovunque. Noi abbiamo messo in produzione il Narsete, Trebbiano di una vecchia vigna che ha una storia particolare alle spalle. Nella chiesa di San Vitale, a Ravenna, in un mosaico è rappresentato Narsete, un generale di Giustiniano inviato dall’imperatore stesso nel 530 dopo C. a riconquistare la città di Imola che era sotto il dominio degli Ostrogoti. L’autore del libro ‘Storia di Fontana’ (Antonio Vesi, 1838) scrive che, una volta terminata questa riconquista, davanti a Narsete comparve un cittadino, tale Marcius (Marzio) Coralto, talmente sconvolto da non avere timore di scagliarsi contro il generale bizantino con l’accusa di avergli ucciso la moglie e i figli. Narsete fu mosso a compassione e regalò all’uomo il territorio di Fontanelice, dove cresce il vitigno Trebbiano da noi coltivato. Da qui la naturale evoluzione del nome della nostra etichetta, Narsete, accompagnata da un collarino che riproduce il volto di questo personaggio storico raffigurato nel mosaico ravennate. Sulla scia delle sperimentazioni in fatto di tagli tra Sangiovese e Cabernet faremo un taglio che si chiamerà Coralto Colli di Imola Rosso…”. Tradizione, modernità, valorizzazione della tipicità, eccellenza in tavola, cultura, conoscenza. Sono tutte chiavi di lettura della filosofia imprenditoriale che lega in maniera indissolubile la famiglia Zuffa alla sua terra. A quella generosa collina attraversata dal fiume Santerno.