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TESTO E FOTO DI
Carlo Maria Milazzo
Ci sono un americano, un francese e un giapponese che arrivano a Roma. La sapete già?. Io non credo, quindi ve la racconto.
I tre giungono con lo stesso aereo a Fiumisciaino per l'americano, a Fiumiscen per il francese e a Fiumikino per il giapponese. Purtroppo incappano in “uno sciopero dei tecnici addetti all'assistenza a terra, per cui devono scendere dalle uscite di sicurezza e lasciarsi sportivamente scivolare su un telo” (Ennio Flaiano, “Welcome to Rome”).
L'edificio dell'aeroporto è distante un chilometro e i tre, assieme agli altri passeggeri, s'incamminano. Poiché c'è un'anziana claudicante con tanto di bastone, il francese, che mastica un po' di italiano, chiede ad un conducente d'autobus aeroportuale se può dare uno strappo alla sola signora zoppa.
-Nun m'emporte un katzo- è la risposta dello scioperante (vedi sempre Flaiano).
I tre turisti ritirano i bagagli dopo due ore: l'addetto al nastro trasportatore non s'è svegliato dopo la fine dell'astensione dal lavoro. Caricano le valigie su trolley d'acciaio che vogliono una moneta per separarsi gli uni dagli altri. Peccato che il soldo si incastri e non venga restituito quando i trolley non servono più. Poi i tre si posizionano nella corsia d'attesa per i taxi. L'americano ha capelli e barba rossi, ciuffi di peli arancioni sul dorso delle mani e delle dita. Suda, giacchè la camicia a quadrettoni da camionista texano è eccessiva per l'ottobre romano.
Ci sono quattro taxi bianchi, fermi in fila e senza conducenti. Dopo venti minuti il francese entra nel bar, lì a due passi, e domanda:
-Per prendere taxì?-
Un poker di uomini sta giocando a carte. Uno di loro protesta:
-E lassace finì la mano-
-E' molto che io aspetta- sottolinea il francese.
-'A bello, dopo famo un tressette cor morto. Te vuoi candidà per er morto?- chiede un altro giocatore.
Finita la partita, i tassisti si rendono conto di avere tre clienti. Pescano allora ognuno una carta dal mazzo. Quello che tira la più bassa sospira:
-Vabbé, li accompagno tutti io. Poi se dividemo er conquibus-
I tre turisti salgono su un solo taxi. Il guidatore, malrasato e con le sopracciglia giganti, non si sincera di indirizzi da raggiungere. La macchina ad un certo punto costeggia il mare e l'americano legge un cartello: -Ostaia Laido- (non è bestemmia, ma solo Ostia Lido).
Poi la vettura passa tra campagne incolte, con qualche baracca obliqua, con tralicci dell'alta tensione storti come se fossero stati colpiti da un uragano. La città si presenta con un blocco stradale completo: si avanza di 10 metri al minuto e non s'innesta mai la seconda marcia.
Scavalcato il Tevere, il taxi si arresta in via del Seminario e il taxista fa segno ai trasportati di seguirlo. (Stendiamo un velo pietoso sul tassametro). Si infilano tutti e quattro in una strada così stretta che se si incontra qualcuno bisogna farlo accucciare e saltargli sopra.
Appaiono le lettere gialle di PENSIONE, appese a coronare una porta sulla destra.
-L'hotel è cinque stelle, brillarelle come quelle de Renato Rascel- garantisce il taxista.
-Io avele plenotato altlo albelgo- squaderna il giapponese.
-Ecche katzo, mo' moo dici- s'impenna il taxista.
-Tu non chiedele me- insorge il figlio del Sol Levante.
-Vedrai che qui stai da Papa- insiste il taxista.
La reception è presidiata da un ragazzo dai capelli rasati fino ai follicoli, in una rapata da commando. Afferma: -Mo' faccio venì er facchino- Poi urla: -Romolooo!- E ancora riurla: -Romoloooo!- Quindi ammette: -Romolo nun ce sta. E del resto er fratello Remo, poveraccio, è crepato da un pezzo-
I tre stranieri si sciroppano quattro piani di scale ripide e consunte, con i bagagli al traino.
PRIMA CARTOLINA DI ROMA
Almeno l'hotel non è lontano da piazza della Rotonda, ornata da una fontana cinquecentesca sormontata da obelisco egizio. Il Pantheon, solenne, chiude il lato sud.
L'imponente monumento fu eretto nel 27 a.C. da Marco Agrippa, genero di Augusto. Venne rifatto da Adriano nel 120 d.C.. Secondo Marguerite Yourcenar, Adriano la pensava così: “Volli che questo santuario di tutti gli dei rappresentasse il globo terrestre e la sfera celeste, un globo entro il quale fossero racchiusi tutti i semi del fuoco eterno, tutti contenuti nella sfera cava”. Il Pantheon consta infatti di un grande corpo cilindrico, di uguale altezza e larghezza (m 43,30), coperto da una calotta emisferica e preceduto da un pronao. Quest'ultimo è sorretto da 16 colonne corinzie (m 12,50), monolitiche e di granito rossogrigio, proveniente dalle cave di Assuan. Il pronao è completato da un grande frontone triangolare su cui campeggia il nome di Agrippa.
Nel 609 il Pantheon fu consacrato al culto cristiano e fu dedicato a Santa Maria ad Martyres. Mille anni dopo, nel 1630, fu spogliato dei bronzi che l'ornavano; gli ultimi vennero asportati da papa Urbano VIII per fondere il baldacchino del Bernini in San Pietro e per fabbricare 80 cannoni per Castel Sant'Angelo (“Quod non fecerunt barbari, fecerunt Barberini”).
Al fossato che gira intorno al tempio è legata una leggenda medievale. Il mago Pietro Bailardo si assicurò il libro del comando, testo di magia nera, consegnatogli dal diavolo in cambio dell'anima. Bailardo si servì delle arti magiche per volare in un giorno a Gerusalemme, in un altro giorno a San Giacomo di Galizia, in un altro giorno ancora al Pantheon. Qui s'imbatté nel diavolo che gli richiese l'anima, ma Bailardo si rifugiò a pregare nella chiesa. In questo modo non tenne fede al patto ed il diavolo inferocito girò più volte intorno al tempio scavando il fosso ancora oggi visibile.
L'interno, cui si accede per una porta di bronzo, è nudo ma di armonia impareggiabile. Tutto intorno si aprono 7 cappelle alternate a edicole. Sopra la trabeazione corre un attico a nicchie. E da qui s'innalza la meravigliosa cupola a cassettoni, al centro della quale si apre un foro di 9 metri di diametro. L'occhio è l'unico pertugio da cui entri la luce e guardandolo si può contemplare il cielo blu carico. Oppure dal foro può entrare la pioggia, che sul pavimento è smaltita da 22 fori.
Che significato ha il buco in alto? Forse potrebbe essere una cruna che mette in contatto cielo e terra. O magari potrtebbe essere la toppa della serratura su cui un Dio appoggia l'occhio per vedere cosa succede nel mondo dabbasso.
I tre turisti si siedono a un bar-ristorantino della piazza. Da mangiare ci sono solo tramezzini strangolati dal cellophane, con due piselli dell'insalata russa che ammiccano tra le fette di pan carré. Da bere solo acqua o coca.
I forestieri occupano tre sedie che si associano a un tavolino quadrato. La quarta seggiola è ingombrata da un piccione panciuto che non svolazza via neanche se gli si agitano le mani davanti; anzi pretende qualche briciola.
La piazza è pedonale ma ogni tre minuti passa un ragazzino su una moto smarmittata che accoltella l'aria. Ad un tratto il giapponese si alza: è basso, con la pelle vagamente itterica e una ridondanza di capelli neri e lisci. Veste giacca grigia e camicia candida. Si sposta per puntare sul Pantheon la macchina fotografica con teleobbiettivo più lungo del braccio.
Il ragazzetto motorizzato ripassa e dà una spinta al nipponico che cade a terra. La Nikon, o altro che sia, viene scippata in un amen.
SECONDA CARTOLINA DI ROMA
A pochi passi si schiude piazza Navona, delicatamente appoggiata sul vecchio stadio ellittico di Domiziano. Domina il centro la vivace fontana dei Fiumi, originale concezione del Bernini (1651): da un bacino circolare sorge una scogliera che porta in alto un obelisco e le statue allegoriche di 4 fiumi (Nilo, Gange, Danubio, Rio della Plata). Altre due fontane stanno alle estremità della piazza, quella del Moro e quella del Nettuno.
Sul lato est, fiancheggiata da due campanili, spicca la facciata ampia e mossa di Sant'Agnese in Agone. La chiesa, compiuta dal Borromini (1657), sorge sul luogo dove la giovane Agnese, messa nuda alla gogna, venne coperta dai propri capelli cresciuti a dismisura. (Agnese fu poi issata su un rogo, ma le fiamme non la lambirono. Fu martirizzata con un colpo di spada alla gola).
I tre turisti entrano nella piazza dopo aver rischiato di inciampare in una colonna di toponi grandi come scarpe. Immediatamente un ambulante con pochi denti lancia al francese una maglia di Totti, con tanto di numero 10. Il transalpino, istintivamente, la prende al volo.
-Mo' te la compri- sostiene lo sdentato.
Il francese allunga la t-shirt al venditore.
-Katzo fai? Profani la maglia der Pupone? T'ho detto che te la devi piglià-
Il francese, Lacoste verde acqua e sorriso storto alla Jean Paul Belmondo, tira fuori 5 euro e buona notte ai suonatori.
Poi i tre passano in mezzo ai ritrattisti che inalberano figure e vignette su piccoli cavalletti. Un pittorucolo con basco di traverso invita l'americano: - Siediti che te metto in un quadro- E apprezza: -Ci hai li stessi capelli di Donalde Trampe-
Un compare dell'artista, un coatto col collo tatuato, spinge in giù per le spalle l'americano, che è costretto a sprofondare in una poltroncina. Velocemente il ritrattista pilota una matita su un foglio. Dopo tre minuti passa all'americano una caricatura proprio di Donald Trump.
-So' 30 euri- rende noto l'autore.
-Sorry-
-Sgancia 25 euri e semo a posto- cala il compare coatto.
-Sorry-
-20 euri, che so' mejo den carcio a li cojoni- riduce ulteriormente il pittore.
20 euro e di nuovo buona notte ai suonatori.
TERZA CARTOLINA DI ROMA
Con una breve passeggiata si arriva a piazza di Spagna. Può capitare di percorrere una stradetta in cui puttane multietniche (provenienti dalla Nigeria, dalla Moldavia e dal Testaccio) stiano appoggiate ai muri. Una prostituta sbarra il passo ai turisti. E' giovanissima, mora, coi capelli tagliati alla nuca, pallida come una luna infreddolita e col seno, di un bianco abbacinante, esposto per tre quarti. Il vestito bluastro le arriva ai polpacci mentre i piedi calzano delle ballerine rosse. Ricorda Lena, la Madonna dei Pellegrini di Caravaggio.
La ragazza afferra la testa del giapponese e la tira a sé, strofinandola sulle mammelle.
-'A involtino primavera, si vieni con me te faccio esplodere come Hiroshima- assicura la fanciulla.
Un travestito, parrucca biondo platino su un viso lungo e glabro, palpa con una mano l'apparato genitale dell'americano e con l'altra le chiappe del francese.
-Veri gud- stima allo yankee.
-Bono bono- valuta al transalpino.
Per la ricca via Condotti si giunge alla piazza, cui fa da scenografico sfondo la grandiosa scalinata di Trinità dei Monti. La gradinata scende maestosa, a rampe successive da una chiesa francese. Se fosse aprile sarebbe arricchita da una sinuosa cascata di azalee violette.
Al centro della piazza è la fontana della Barcaccia, di Bernini padre, in travertino rosa e con un riflesso azzurro dell'acqua. La forma è ispirata a una imbarcazione in secca che nel 1598 fu trascinata fin lì dalla piena del Tevere. Sulla sinistra occhieggiano i primi antiquari di via Margutta e di via del Babbuino. A destra s'innalza la colonna dell'Immacolata mentre lo slargo è chiuso dal semplice prospetto del palazzo di Propaganda Fide.
Un cavallo bigio defeca abbondantemente. E' attaccato a una carrozzella. Il cocchiere, zazzerone di capelli bianchi, offre ai tre turisti “a nice tour in the town” (echi da Flaiano).
-Ve faccio 50 euri a cranio, praticamente un katzo- è la proposta.
Almeno questa avance riesce ad essere declinata, ma subito si avvicina un distinto signore, camicia a righe e cravatta limone, che chiede:
-Lorsignori sono interessati ai gradini della scalinata? Ve ne posso vendere quanti volete al prezzo di 500 euro l'uno-
-Che ce ne facciamo degli scalini?- prova ad argomentare il francese.
-Ci potete mettere sopra una baracca per vendere gelati, gioielli, ventagli o quello che più vi piace- è una soluzione.
-Volendo, uno può comprare tutta la scalinata?- s'informa il francese.
-Uno può diventare padrone di tutti i 137 gradini e dopo può chiudere le entrate, facendo poi pagare un pedaggio per il passaggio-
-Purtroppo stiamo a Roma solo qualche giorno- rifiuta cortesemente il francese.
MORALE
Bella la Capitale, ma accogliente proprio per un katzo.