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TESTO E FOTO DI

Matteo Franzoni

Franco Di Mare al maggio fioranese

Un pomeriggio tra amici

 

Per la rassegna “Dire, fare, imparare, incontri 2016” con grande successo di pubblico è presente il giornalista Franco Di Mare a Fiorano Modenese, dove si tiene la dodicesima edizione del maggio fioranese, a dimostrazione del successo che la manifestazione mantiene inalterato negli anni.

 

Presenti sul palco per la presentazione dell’edizione 2016, l’assessore alla cultura, Morena Silingardi, il sindaco Francesco Tosi e il presidente del comitato Fiorano in festa, l’avvocato Giancarla Moscattini, essendo l’incontro con Franco Di Mare il primo di una lunga serie che vedrà l’edizione 2016 improntata sui temi del “Dire, fare, imparare”.

 

Dopo i saluti e ringraziamenti di rito la parola passa ad Annalisa Vandelli, scrittrice e fotoreporter che conduce l’incontro con il giornalista. Il dialogo tra i due nasce spontaneo e dato l’argomento, dire la verità, subito si va sul delicato tema della morte di Giulio Regeni. Di Mare, ottimo oratore, illustra ai presenti la delicata situazione politica che attraversa l’Egitto, definendola una democratura, ossia una via di mezzo tra una democrazia e una dittatura in quanto il paese sembra una democrazia, basata su libere elezioni ma poi accadono avvenimenti che portano a pensare che in realtà a vigere sia un regime. Un regime peraltro che fa comodo all’Occidente perché toglie ossigeno all’Isis e ai fratelli musulmani. Inoltre tra Italia ed Egitto sono in piedi importantissimi legami commerciali che rendono i due paesi alleati.

 

Perché dunque far scoprire il cadavere del giovane Regeni nel giorno in cui il ministro Guidi era presente in Egitto? Per Di Mare questo significa voler rovinare i rapporti commerciali tra i due paesi, ma è necessario continuare a far luce alla ricerca della verità, anche se trovarla sarà molto difficile perché significherebbe, per il presidente egiziano al Sisi, l’ammissione della sua debolezza. Il ritiro dell’ambasciatore è stato un gran gesto e un atto di forza che ha reso apprezzabile la posizione del nostro governo. Poi il giornalista, pur dichiarando con forza la sua idea di pacifismo, cita le eccellenze italiane, tra le quali si trovano i migliori cannoni, elicotteri e aerei da trasporto e domanda ai presenti se possiamo rinunciare a queste produzioni, sapendo che questo significherebbe la perdita di migliaia di posti di lavoro.

 

L’argomentazione vira sul rispetto del corpo dell’avversario, tema fondamentale dai tempi di Enea e qui viene citata, oltre a Giulio, anche Valeria Solesin, altra recente vittima facente parte della generazione dei trentenni che approfondiscono lingua e studi all’estero. Sulla morte di Regeni sono state diffuse sette versioni differenti, prima si è parlato di ambienti omosessuali, poi che fosse una spia, poi addirittura che si sia trattato di un incidente d’auto. In realtà Giulio era un valido ricercatore di una università inglese e faceva domande semplicemente perché era il suo lavoro, niente più. Lo hanno torturato per farsi dare informazioni di cui non era in possesso perché era un ricercatore, non una spia ed è morto nelle pieghe di un regime poco democratico.

 

Sempre a tema “dire la verità” l’argomento si sposta su Enzo Tortora e qui Di Mare racconta di aver preso inizialmente una posizione errata sul famoso presentatore. Era un giovane giornalista di 24 anni che aveva appena iniziato a lavorare all’Unità. Il presentatore venne arrestato e tutti a scrivere che era un camorrista. Ci furono ben 400 arresti ma di lì a poco vennero riscontrate parecchie anomalie, tra cui almeno un centinaio di casi di omonimie. Dopo mesi di articoli infamanti sulla figura di Tortora si insinuò il dubbio che ci fossero stati errori nell’inchiesta e dopo anni il presentatore venne rilasciato in quanto non colpevole. Di Mare chiese pubblicamente scusa perché si sentì male per i suoi errori mentre i magistrati che hanno condotto l’inchiesta sono passati ad altri ruoli. È giusto rispettare l’autonomia dei magistrati ma secondo il giornalista andrebbe istituita una patente a punti anche per loro e al terzo errore dovrebbero venire licenziati perché chi subisce un errore come ha subito Enzo Tortora ha la vita rovinata per sempre.

 

I ricordi del giornalista passano a Sarajevo e con emozione decide di condividere con i presenti un aneddoto molto intimo di quella esperienza. Tutti durante i bombardamenti si rifugiavano al sicuro, lui e la sua troupe, composta da quattro elementi, l’autista, il cameraman e l’interprete, uscivano allo scoperto per filmare. L’unico che rimaneva all’interno era il montatore, che un giorno però chiede a Di Mare di uscire insieme per vedere cosa accadeva per le strade di Sarajevo. Mentre i cinque sono in auto un uomo cade dolorante in mezzo alla strada, un cecchino lo ha ferito a una gamba. L’autista ferma l’auto e Di Mare, seguendo il suo istinto, aspetta il colpo successivo del cecchino, che manca l’uomo ferito e si getta fuori dall’auto per mettere in salvo l’uomo. Ed ecco che succede l’impensabile perché il ferito, preso dalla paura, si aggrappa a Franco e lo fa cadere. A quel punto il cecchino ha avuto il tempo di ricaricare l’arma e sparare, per fortuna non colpendo nessuno dei due uomini a terra. Di Mare urla chiedendo aiuto e chi scende dall’auto? A sorpresa il montatore, che aiuta Franco a caricare sull’auto il ferito, che viene portato d’urgenza in ospedale, mentre i due rimangono acquattati alla parete per non subire i colpi del cecchino in attesa che l’autista tornasse a prelevarli per portarli al sicuro.

 

Una volta i civili erano effetti collaterali e le città avevano tutte ferite di guerra, ora i bombardamenti sono sterili e condotti a distanza con droni a controllo remoto e in un futuro prossimo saranno così anche gli aerei, saranno guerre di tecnologia e non più di uomini. Poi Di Mare ribadisce la sua posizione di pacifista convinto ma si domanda se non serva una deterrenza per difendersi da popolazioni sconvolte da dittatori sanguinari e cita l’esempio della Bosnia, dove l’Europa ha commesso un grosso errore, non intervenendo in  loro aiuto e permettendo all’Arabia Saudita di aiutarli concedendo una grossa radicalizzazione.

 

Altra esperienza forte e indimenticabile per l’inviato di guerra in Pakistan, quando rimase imbottigliato in una grossissima manifestazione con il suo cameraman. Non c’erano vie di fuga, solo lui e il suo collaboratore in mezzo a ventimila manifestanti. Ad un certo punto si fa un vuoto intorno a loro, si sentono forti urla e arrivano tre uomini barbuti con un tavolo e gli intimano di salirci sopra. Si teme il peggio ma i tre insistono e Di Mare capisce, non vogliono fargli del male ma vogliono che i due salgano sul tavolo per riprendere meglio cosa sta accadendo mentre continuano ad urlare “Vi scanniamo tutti” riferito agli occidentali. Cosa dovrebbe fare un giornalista in un caso simile? Come raccontare la verità? La verità è che ci sono ventimila estremisti che minacciano l’Occidente ma il Pakistan non è rappresentato solo da questi facinorosi, ci sono venti milioni di pakistani non estremisti, quindi è stato giusto raccontare che in quella manifestazione erano veramente in tanti ma è stato altrettanto giusto far capire che è maggiore la popolazione non estremista.

 

Dopo essere stato inviato di guerra Franco ha accettato la proposta di RaiUno per la conduzione di UnoMattina perché crede che la bellezza del giornalismo non sia solo nel reportage e uno dei più bei complimenti ricevuti è stato a Napoli, dove ha incontrato una vecchietta che gli ha detto “Quando voi parlate io vi capisco” perché essere un bravo giornalista significa farsi capire dalla gente.