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Elisabetta Smaniotto

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L'"abuso" di diritto

Il presente breve contributo si propone la finalità di affrontare il tema del c.d. abuso di diritto.

Con quest’ultima terminologia si indica quella particolate tecnica in forza della quale vengono posti in essere atti negoziali apparentemente leciti ma, di fatto, volti a perseguire un risultato illecito, come ad esempio, un risparmio fiscale.

Il singolo, nell’esercizio di un diritto soggettivo pieno ed assoluto, compiendo una determinata attività può perseguire un risultato che in realtà, tramite la tecnica seguita, sarebbe vietato.

 

Al contrario, per non ricadere nello schema dell’abuso di diritto, le parti dovrebbero percorrere una strada negoziale differente.

Un esempio facile per far comprendere cosa si intenda con la fattispecie in commento può essere il seguente.

Presupponiamo che due coniugi abbiano acquistato un immobile nell’anno 2005 in regime di comunione legale dei beni, usufruendo delle agevolazioni prima casa (ovvero pagamento l’imposta di registro, ipotecaria e catastale in misura ridotta); oggi si è prospetta la conveniente opportunità di acquistare un altro bene ma i medesimi coniugi vorrebbero usufruire anche per questo nuovo acquisto del regime fiscale agevolato.

 

In realtà, avendo già beneficiato delle agevolazioni fiscali nell’anno 2005 (in occasione del primo acquisto), non ne avrebbero più diritto, tuttavia, strutturando l’operazione in una determinata maniera è possibile richiedere nuovamente le agevolazioni fiscali in parola.

Tecnicamente, quindi, i coniugi devono stipulare una convenzione matrimoniale modificando il regime legale della comunione legale di beni in quello della separazione dei beni.

A seguito della convenzione, muta anche il regime di titolarità del primo bene (già oggetto del negozio del 2005): da bene in proprietà di entrambi in regime di comunione legale di beni, in unica quota, l’immobile diviene in titolarità dei predetti in ragione della quota di un mezzo ciascuno in regime di separazione di beni.

 

Il nuovo tipo di comunione instaurato sul bene sarà quello della comunione ordinaria (in ragione di un mezzo ciascuno).

Pertanto, ognuno di essi potrà liberamente disporre della propria quota di un mezzo, spossessandosi del bene già acquistato con il regime agevolato e trovandosi così nella condizione di poter nuovamente richiedere il beneficio fiscale per il nuovo acquisto.

E così, previa stipula della convenzione matrimoniale di separazione di beni, accade che l’uno trasferisca all’altro la quota di un mezzo in regime di comunione ordinaria e proceda poi all’acquisto di un nuovo bene, in proprietà esclusiva, usufruendo del regime agevolato.

 

Tecnicamente l’operazione così strutturata sarebbe di per sé lecita, tuttavia, analizzando gli effetti che si vengono a creare, è evidente che la finalità perseguita è quella di ottenere un rilevante risparmio fiscale sia in sede di acquisto, sia relativamente alle successive imposte dovute (per entrambi gli immobili, infatti, verranno pagate le imposte di possesso dovute per la “prima casa” o per “l’abitazione principale” – esempio IMU), trovandosi ciascun bene in proprietà esclusiva di ciascun coniuge.

Lo schema analizzato, secondo gli operatori, è riconducibile al genus del c.d. abuso di diritto, per cui, anche se apparentemente vengono posti in essere atti leciti e consentiti, in realtà, abusando del diritto, si ottiene un risultato vietato, ovvero, un effetto elusivo di risparmio di imposte.

 

Sul tema, in materia societaria si è recentemente pronunciata la sezione tributaria della Suprema Corte di Cassazione, con pronuncia numero 5877 del 13 marzo 2014, n. 5877, nella quale è stato affermato che la stipula di un atto costitutivo di società, al mero fine di cedere alla newco un ramo d’ azienda già in capo all’originaria società, configura un’operazione elusiva, ascrivibile al richiamato istituto dell’abuso di diritto in quanto, in realtà la finalità che le parti intendevano perseguire era quella di una cessione di azienda, che presuppone un maggior pagamento di imposta di registro. In un simile contesto, pertanto, per i giudici, l’Agenzia delle Entrate può lecitamente recuperare la maggior imposta che sarebbe stata corrisposta in caso di cessione di azienda.