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TESTO E FOTO DI
Carlo Maria Milazzo
La tomba comune di Amedeo Modigliani e di Jeanne Hébuterne si trova nella parte moderna del Père Lachaise, il cimitero dell'est di Parigi che raccoglie le spoglie di artisti di ogni epoca. La tomba è un sobrio cofanetto allungato in pietra grigia, ravvivato però dagli omaggi che gli ammiratori portano ogni giorno: rose bianche, dalie rosse, fogli disegnati fermati con sassi gialli, bandierine col tricolore italico, addirittura dei portamatite coi pennarelli che usano i bambini. Due iscrizioni dorate in lingua italiana seguono i nomi e le date di nascita e morte dei due tumulati. Per Amedeo è scritto: “Morte lo colse quando giunse alla gloria” (E qui scaturisce la correlazione con una frase di Balzac, sepolto tra l'altro a breve distanza: “La gloria è il sole dei morti”). Per Jeanne l'epitaffio recita: “Compagna devota fino all'estremo sacrifizio”.
Amedeo, nato a Livorno il 12 luglio 1884 e morto a Parigi il 24 gennaio 1920, non ancora trentaseienne. Jeanne, nata a Meaux, nell'Ile de France, il 6 aprile 1898 e morta a Parigi il 26 gennaio 1920, poco oltre i vent'anni.
Amedeo proviene da una famiglia ebrea, socialista, poliglotta. I genitori stanno in Toscana ma hanno il mito di Parigi quale città della cultura e della libertà. Amedeo cresce respirando le raffinatezze di una cultura aristocratica, la voglia di internazionalismo, gli ideali di giustizia sociale.
Jeanne viene da una famiglia convertitasi al cattolicesimo dall'ebraismo. I genitori sono inflessibili su commistioni tra cristiani e israeliti.
Amedeo Modigliani ha un nome che suona continuo e armonico. Le lettere della parola “Melodia” vi compaiono addirittura due volte, ad eccezione della consonante “l”.
Jeanne Hébuterne ha un nome che è un soffio musicale ma il cognome è ruvido quanto un comando militare.
Amedeo passa l'adolescenza a leggere tutta la Divina Commedia e tutto il Canzoniere, l'opera filosofica di Spinoza, le poesie di Shelley/Baudelaire/Rimbaud/Verlaine/Leopardi, le Odi barbare di Carducci, i drammi di Ibsen, le intuizioni ardite di Nietzsche, Bakunin con la sua proposta ossimorica dell'anarchia responsabile. Il giovanotto memorizza migliaia di versi, citazioni colte, concetti profondi, parole alate, sentenze solenni, paradossi brillanti e sedimenta un repertorio enciclopedico con cui sbalordire chiunque negli anni a venire. Si favoleggia che nel corso della sua esistenza Amedeo sia sempre stato visto con un libro in mano o infilato nella tasca della giacca.
Jeanne, avrà mai avuto un'adolescenza? Avrà mai trovato un angolo tutto suo dove sposare una fantasia ad un sospiro? E per i libri, avrà mai avuto qualcosa di diverso da una Bibbia già sottolineata?
La cartella clinica di Amedeo è un testo di patologia generale: pleurite a 12 anni, tifo con delirio febbrile a 14, polmonite a 15, tubercolosi a 16. Accanto al letto del ragazzo c'è sempre la mamma di origine francese, che chiama il figlio Dedo e magari qualche volta Dedò. La diagnosi che conclude il fascicolo ospedaliero di Amedeo è quella di morte per meningite, probabilmente riconducibile al bacillo della tubercolosi.
Il corpo di Jeanne è pallido ma irrorato da una linfa potente. Jeanne è bianca come un giglio, consistente come il petalo del giglio, un po' flessuosa come lo stelo del giglio (vedi “Ritratto di Jeanne davanti alla porta”). Il solo referto medico di Jeanne dovrebbe riportare: “traumi letali da suicidio”.
Amedeo arriva a Parigi nel 1906 e incontra Picasso, Brancusi, Utrillo, Soutine e altri artisti. Lui è prepotentemente sicuro del proprio talento, come si desume anche dalla dedica apposta sul ritratto della modella Lunia Czechowska: “La vita è un dono dei pochi ai molti, di coloro che sanno e che hanno a coloro che non sanno e che non hanno”. Amedeo è conscio di sapere, di avere e di potere, come un Dio, infondere una luce vitale in chi voglia contemplare la sua arte.
Jeanne ritiene di essere portata per il disegno, per i colori, per le tele.
Amedeo, nonostante l'arroganza da fenomeno del pennello, si iscrive nel 1907 all'Accademia Colarossi, a Montparnasse, al numero 10 della rue de la Grande-Chaumiere. Frequenta soprattutto i corsi di nudo.
Jeanne sa di dover apprendere tecnica e storia dell'arte: nel 1917 segue delle lezioni all'Accademia Colarossi.
E proprio subito fuori dall'Accademia, nell'aprile del 1917, avviene l'incontro tra Amedeo e Jeanne.
Dove si trova Amedeo in quel momento? Probabilmente nel Cafè di fronte all'Accademia, seduto ad un tavolino protetto da una veranda trasparente.
Jeanne sta uscendo dall'Accademia.
Che faccia ha Amedeo in quel momento? Ha forse l'aspetto selvatico, avido e ripugnante che anni prima gli ha visto addosso la scrittrice inglese Beatrice Hastings? Oppure è ben rasato, elegante e soavemente malinconico? Lascia forse trasparire un orgoglio insopportabile, l'ingratitudine torva, la freddezza glaciale che gli ha riscontrato il pittore Max Jacob? Oppure ha gli occhi schietti, abitati da una purezza cristallina?
Jeanne stringe con dita irrigidite il manico di una cartella. I suoi lunghi capelli castani con riflessi rossi sono parzialmenti nascosti da un cappello con enorme tesa spiovente (vedi “Ritratto di Jeanne con cappello”).
Amedeo ha dei capelli neri che si dividono con una riga approssimativa sulla sinistra del capo. Una ruga verticale da pensatore incide la metà della fronte. Le sopracciglia sono grosse e con una leggera curvatura da diavolo. Le ciglia lunghe sembrano quasi truccate. Gli occhi sono scuri. Il naso è carnoso e dilatato come quello di un torello. Le labbra sembrano sul punto di mandare un bacio. Il suo tavolino ospita un bicchiere di brandy, un posacenere stipato di cicche, il libro preferito: “I canti di Maldoror” di Lautréamont.
Jeanne guarda Amedeo e in una frazione di secondo comprende che quell'uomo è il Tutto, capace delle bassezze più bieche così come di una vigorosa umanità. Tutta la scala emozionale, dalla perversione alla sensibilità, è sicuramente di quell'uomo. Lo Stronzo e l'Angelo sono entrambi titolari della sua anima.
Amedeo guarda gli occhi azzurrissimi di Jeanne, poi il suo collo che sembra alloggiare la mutazione genetica di tre vertebre cervicali in più. La ragazza è bella, sembra dolce e docile. Amedeo sente il cuore contrarsi vivacemente e poi rilassarsi per pause più lunghe.
Amedeo si alza, con la mano prende il gomito di Jeanne e i due s'incamminano per rue de la Grande-Chaumiere. Piove e sul borsalino che Amedeo s'è messo in testa le gocce ballano una tarantella. Sul cappello di Jeanne le gocce si appendono al bordo della tesa come tante minuscole mammelle.
Amedeo e Jeanne vanno a vivere insieme in un appartamento poco distante dal punto del loro incontro. I soldi sono pochissimi e il freddo dell'inverno mangia le idee e le mani. Il 3 dicembre viene inaugurata la prima personale di Amedeo, che però è chiusa dalla polizia a vernissage appena finito: in vetrina ci sono troppi nudi e per di più, come afferma il verbale dei gendarmi, i corpi mostrano degli evidenti peli pubici. Nella primavera del 1918, per il pericolo di un'invasione dell'esercito tedesco, i due si trasferiscono in Provenza. Amedeo, pur con la salute malferma, dipinge freneticamente. Jeanne gli fa da modella e viene ritratta con il maglione rosso e i capelli raccolti a mo' di favo rovesciato, poi frontalmente col collo che tende a quello di un cigno e l'orecchia destra a bucare il fascio dei capelli, poi con dei maglioni larghi che assecondano le forme ampliate della gravidanza. Amedeo ritrae anche la povera gente del sud della Francia e lo fa con tratti delicati e colori leggeri: tra i soggetti svettano un contadinello, una zingarella col figlioletto in braccio, un baffuto compagno di bevute in un bistrò. Il 29 novembre, a Nizza, Jeanne mette al mondo una bambina che Amedeo riconosce come propria figlia. Alla neonata viene replicato il nome di Jeanne. All'inizio del 1919 alcune tele di Amedeo vengono esposte a Londra e i collezionisti inglesi cominciano a comprare i dipinti. A marzo la coppia rientra a Parigi e torna ad abitare a Montparnasse, in rue Campagne Première. A luglio Amedeo firma un impegno di matrimonio in cui promette di sposare Jeanne, che è di nuovo incinta. Amedeo ritrae Mario, un musicista greco, e Jeanne con un maglione che trabocca sui fianchi allargati. E si concede anche un autoritratto in cui appare molto smagrito. Dopo aver partecipato al Salone d'Autunno, Amedeo si ammala gravemente.
Il 24 gennaio 1920, all'ospedale della Charité, l'anima di Amedeo varca una finestra appena schiusa ma non prende la via delle stelle appese al buio: l'anima rimane a gironzolare sopra le vie gelate di Montparnasse.
La mattina dopo Jeanne va all'ospedale per rivedere Amedeo. La accompagna il padre, silenzioso e ostile anche verso la salma dell'ebreo alcolista che ha rovinato la sua bambina. Il padre rimane sulla soglia mentre Jeanne si avvicina al cadavere. “Non lo bacia” come scrive Stanislas Fumet, amico d'infanzia di Jeanne “ma lo guarda a lungo, senza dire nulla. Si ritira a ritroso, cercando di conservare il ricordo del viso del morto e sforzandosi di non vedere nient'altro”. Nella casa di padre e madre, poco distante dall'ospedale, Jeanne comincia a rimuginare un refrain senz'altro simile a quello di una canzone che Vinicio Capossela ha dedicato a Modigliani e alla sua donna: “Ho paura di stare a restare da sola a scordarmi di noi. E allora sto vicino a te, questa notte e domani”.
Sempre a casa dei genitori, nell'ora blu che precede l'alba del giorno seguente, Jeanne si butta dalla finestra del quinto piano. Nel breve tempo che occorre a coprire lo spazio tra davanzale e selciato l'anima di Jeanne si invola dal corpo in caduta. E l'anima corre a prendere a braccetto quella di Amedeo, intirizzita dal girovagare notturno: le due anime si incamminano insieme, verso quelle costellazioni che a breve impallidiranno.