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TESTO E FOTO DI
Roberto Zalambani
A tre anni dal precedente, questo convegno si inserisce in un contesto della professione che ha subito un rapido e profondo cambiamento.
Se tre anni fa la richiesta forte, al termine dei nostri lavori, fu al mondo politico-istituzionale perché favorisse un processo di riforma che non era più rinviabile e che perfino il padre fondatore Guido Gonella auspicava già alla fine degli anni’60, oggi la prospettiva appare rovesciata al punto da recuperare la centralità del Pubblicismo negli scenari prossimi di un sistema dei media scosso dalle fondamenta dalla diminuzione progressiva di opportunità di lavoro retribuito.
Mentre la riforma continua a non essere considerata prioritaria nelle agende di governi dimissionari, di partiti alla continua ricerca di una nuova identità, di comitati di saggi o pseudo tali che hanno già messo le mani avanti nella ricerca di soluzioni improbabili per dare un minimo di governabilità al nostro Paese, i nostri organismi stanno vivendo una sorta di metamorfosi.
Con l’istituzione infatti dei Consigli Territoriali di Disciplina, che nei prossimi mesi inizieranno a gestire i procedimenti disciplinari mentre il Consiglio Nazionale di Disciplina gestirà i ricorsi, utilizzando professionalità di colleghi almeno in parte provenienti dagli organismi ordinistici, l’intera realtà di autogoverno della categoria dovrà essere radicalmente ripensata.
Il rischio di consiglieri dell’Ordine, eletti nei prossimi rinnovi, in crisi di identità e di ruolo, può e deve essere scongiurato dall’impegno che dobbiamo mettere tutti per rendere credibile e comprensibile il nostro ruolo con efficienza e trasparenza. Per questo dobbiamo prendere sul serio la formazione continua, obbligatoria e certificata dall’assegnazione di crediti dai quali dipenderà addirittura il mantenimento dello status di giornalista.
Se finora la formazione era finalizzata all’ingresso negli Albi e a forme di aggiornamento spontaneo e non obbligatorio, gratuito o a pagamento, per migliorare conoscenze e competenze, da domani tutto potrebbe cambiare e dovremo lavorare tutti, Pubblicisti in testa, perché la nostra professione cambi in meglio o almeno non cambi in peggio.
Per cambiare in meglio non basta migliorare le nostre competenze nei processi formativi e nelle tecnologie che sono ormai anni luce avanti rispetto a come gestiamo oggi le nostre attività ordinistiche, ma occorre, se vogliamo dare un servizio veramente utile ai colleghi, soprattutto a quelli più giovani, prendere atto dei radicali cambiamenti che investono i processi di globalizzazione della società, dell’economia e della comunicazione e costruire percorsi che diano prospettive a tutti quei colleghi che tentano disperatamente di vivere di giornalismo con un minimo di dignitosa retribuzione.
Senza entrare in complicate disquisizioni sociologiche e psicologiche o lanciare sterili appelli vetero sindacali, dobbiamo acquisire consapevolezza di quelle che sono le vere sfide del giornalismo attento ai bisogni e alle aspirazioni delle persone e a quei mondi produttivi sostenibili che già oggi cercano figure professionali di comunicazione globale, che troppi colleghi non riescono a comprendere e a intercettare.
Faccio alcuni esempi, forse non del tutto collegati tra loro ma che ci possono aiutare a capire i contesti con i quali il giornalismo degli anni a venire dovrà inevitabilmente fare i conti.
I siti di News a febbraio scorso (fonte Italia Oggi) hanno aumentato la penetrazione nell’opinione pubblica, rispetto al febbraio di un anno fa, chi del 150%, chi del 100%, chi del 60%, chi del 40%; non sono solo i siti dei grandi quotidiani o dei grandi gruppi televisivi multimediali, trascinati dall’effetto audience, ma anche siti, come l’Huffington Post, che a febbraio 2012 non esisteva, e che ha avuto in un giorno medio dello scorso febbraio circa 120 mila utenze, 18 mila in più del mese precedente.
A livello economico e finanziario, stanno nascendo operatori che ormai raccolgono investimenti on line su progetti ad alta valenza sociale e culturale e li finanziano: Come non immaginare che anche la buona e mirata comunicazione possa entrare in questo circuito? E’ inevitabile che molti giornalisti, che non riescono ad ottenere un contratto anche precario di lavoro giornalistico, diventino imprenditori di loro stessi unendo la capacità di fare un’inchiesta, scrivere un articolo, girare un video, all’interfaccia diretto con la tanta vituperata pubblicità, con i tanto – spesso a ragione – disprezzati interessi corporativi o del libero mercato della concorrenza tra imprese e prodotti .
Non appare dunque irrealistico pensare che anche nella professione giornalistica la “ green economy “ possa rappresentare uno dei pochi sviluppi lavorativi sostenibili nel mondo dei media.
Infatti, secondo il Rapporto globale sul mondo del lavoro 2012, presentato nei mesi scorsi dall’ILO (International Labour Organization – Organizzazione mondiale del lavoro), dopo la crisi finanziaria esplosa alla fine del 2008, sono stati persi 50 milioni di posti di lavoro. La disoccupazione giovanile è aumentata tanto che si stima che circa il 40 per cento dei non occupati rientri nella classe di età tra i 14 e i 24 anni. Anche in Italia la crescente difficoltà delle imprese, tra le quali anche quelle editoriali, si riflette sulla disoccupazione che, dal marzo 2012, ha superato il 10%.
Tra le politiche per uscire da questa drammatica situazione e rilanciare l’occupazione, il sostegno ai settori “verdi“ dell’economia è considerato prioritario da autorevoli organizzazioni internazionali, dalla Commissione della Comunità Europea e da numerosi Governi. Stime attendibili indicano che il solo settore delle energie rinnovabili che nel mondo dava lavoro nel 2009 a circa 2,4 milioni di persone, nel 2030 moltiplicherà di quasi dieci volte questi lavoratori.
Secondo la Commissione UE, impegnata a varare il cosiddetto “piano per i lavori verdi“, le fonti rinnovabili danno già oggi lavoro a 1,5 milioni di europei; ad essi se ne aggiungeranno altri 3 milioni entro il 2020 per effetto della Direttiva che chiede di coprire con le rinnovabili il 20 per cento del fabbisogno energetico. In una risoluzione del 2010 sullo “Sviluppo del potenziale occupazionale di una nuova economia sostenibile“, il Parlamento europeo ha sottolineato l’importanza di realizzare piani formativi per le professioni della green economy ad elevata specializzazione.
Anche in italia, come evidenzia il Rapporto “GreenItaly” realizzato da Unioncamere e Symbola, ben il 40 per cento delle professioni censite dall’Istat, viene e verrà sempre più investito da processi di riconversione in senso ecologico. Sul versante delle competenze, la costruzione di un’economia “verde“ coinvolge e sempre di più coinvolgerà, tutti i settori determinando la scomparsa di determinate occupazioni, la trasformazione di altre e l’emergere di nuovi profili professionali con un’elevata propensione alla comunicazione e alla promozione di prodotti e servizi.
Come dimostra il sistema informativo Excelsior delle Camere di Commercio, secondo l’autorevole opinione di Ugo Girardi, già responsabile Unioncamere a Bruxelles, le imprese che investono in tecnologie green prevedono nuove assunzioni, nonostante la crisi, ma segnalano criticità nella ricerca di figure professionali, per l’inadeguatezza delle competenze e delle conoscenze tecnico-specialistiche.
Come giornalisti, investiti da una crisi senza precedenti, che mette a rischio l’esistenza stessa della professione, tradizionalmente intesa come lavoro esclusivo e retribuito attraverso contratti di categoria, non è difficile ipotizzare un futuro prossimo con al centro un nuovo pubblicismo – fatto magari di colleghi che hanno la tessera da professionista in tasca – e che dovranno adeguarsi alle dinamiche del lavoro e del mercato.
E’ anche per questo che noi, pubblicisti da sempre e sensibili alle dinamiche di accesso dei giovani alla nostra professione, dobbiamo operare per difendere il nostro Albo e per portare nella categoria le nostre competenze che saranno sempre più necessarie nel passaggio al giornalismo di domani.