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TESTO DI Andrea Dal Cero |
Troppe volte ho già dovuto ascoltare l’affermazione secondo cui “il fiume Po è diventato il confine tra la macroregione del Nord e il resto del mondo”. Il confine tra una Sinistra Po di destra e una Destra Po di sinistra: come se l’acqua che scorre nel Grande Fiume fosse ora divisa tra fazioni contrapposte e antagoniste tra loro.
Da Piacenza all’Adriatico, praticamente tutto il tratto navigabile dell’asta del fiume, il Po diventa secondo questi signori un’unica dividing line tra mondi diversi e incompatibili.
Ma a loro voglio rispondere che se proprio hanno bisogno di una linea di confine se la facciano da un’altra parte e che se serve loro un simbolo sarebbe molto meglio che ne scegliessero un altro.
In tante occasioni i corsi d’acqua sono stati usati per tracciare confini. Addirittura nelle strutture poderali si è soliti seguire i fossi per identificare le diverse proprietà.
Il Rubicone è stato un confine simbolico per Giulio Cesare, sulla linea del Piave si è salvata l’Italia nei giorni di Caporetto, lungo il corso del Volturno i garibaldini sconfissero le truppe borboniche e resero possibile l’unità d’Italia. Fiumi che sono diventati simboli. Simboli importanti ma lontani nel tempo e nella storia.
Ma nel tempo presente, ipotizzare che esista un confine tra Brescello e Viadana, Revere e Ostiglia, Sermide e Castelmassa, Pontelagoscuro e Santa Maria Maddalena, Ro e Polesella, non solo è scorretto, ma è addirittura stupido.
Le risorse e i problemi confluiscono nel fiume, come pure la storia e le tradizioni della sua gente. L’identità della Gente di Po è molto più forte delle divisioni transitorie che le amministrazioni regionali potrebbero finire per produrre. Come è forte il desiderio di un fiume recuperato all’incuria che amministrazioni di colore diverso hanno negli anni dimostrata ad onta delle necessità e delle aspirazioni di chi vive lungo le sue sponde.